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e La passione secondo G. H. (A Paixão segundo G.H., 1964) Clarice Lispector descrive la maternità come “luogo di umidità profonde”, punto tremendo in cui il vivente singolare si ripete infinitamente rigenerandosi e disfigurandosi. Questo concetto, assimilabile a quelli di orrido e di bestiale, può essere esteso a tutti i legami raccontati dalla pittura di Rita Valentino, viscerali ed estremamente famigliari allo spettatore, intimi e impersonali, vibranti e per certi versi vicini a una religiosità laica intrinseca nella natura dell’uomo e necessaria al movimento e alla vita. Ogni corpo, asciugato e dalle linee essenziali, rivela la necessità di penetrare in quello dell’altro avvinghiandosi ad esso, aggrappandovisi, disfacendo i propri margini per espandersi voracemente nell’altro. Il medesimo concetto ritorna costantemente come uno dei temi-cardine della scrittura di Elena Ferrante, secondo cui la carne cieca vibra perché naturalmente tendente alla rigenerazione, che è un processo piuttosto violento e oscuro che ha inizio durante l’adolescenza. Ogni rapporto costruito sull’amore è imitazione del legame madre-figlio: i corpi giovani si muovono nelle proprie grandi profondità umide e ogni volta che si sfiorano è come se volessero scivolare ciascuno dentro l’altro per vivere una seconda volta il momento della nascita e invertire la tendenza alla morte per venire al mondo continuamente. Un corpo dotato di contorni ben definiti riesce a conservare al suo interno una stabilità ma, al tempo stesso, si fa ridondante e inutile e non riesce a esprimere la fluidità terrificante di una vita che può moltiplicarsi infinite volte. Si tratta del sentimento di animalità per il quale ci si lascia divorare da un’altra vita, un corpo si squarcia alla nascita di un legame e si fa più o meno volontariamente instabile, insicuro perché esposto, aperto all’esterno, irrimediabilmente squarciato.
Carmelanio Bracco
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